Vitamia

Capitano, a volte. Quasi a tradimento. Giorni e poi settimane. Densi di emozioni. Pieni, fin da scoppiare. Vita intrecciata, intessuta fitta fitta. Nodi su nodi, ordito e trama. Ma dal rovescio.

Senti benissimo che Qualcuno sta tessendo un enorme arazzo. La navetta corre, il telaio ticchetta rapido. Presto, presto, c’è poco tempo. E corri assieme alla navetta, in un vorticoso intreccio di fili colorati. Una tarantella scatenata, con mastro Vinicio a dare il tempo.

Quando capita, nuoti in apnea. Scalci forte, coi polmoni urlanti che implorano: aria, aria! Luce per ritornare in superficie. Tempo, almeno un po’. Tregua per un cuore che batte affannoso.

Tante volte, in passato, ho maledetto il destino. La Vita e l’Universo. Ho covato e coltivato la mia rabbia. L’ho tenuta stretta, era solo mia.

Il tempo ci cambia. E gli incontri, più ancora. L’Amore ci leviga gli spigoli. Occhietti vispi ci chiedono la perla preziosa, frutto di tante lacrime.

Al diavolo l’ordine. In malora i piani. Sconvolti gli antichi rituali. Di colpo, ci troviamo tra le onde: il passato esce di scena con fragore, il presente è terremotato, ma il futuro ci chiama. A gran voce.

Vitamia. Grazie. Sii benedetta.

Fiorella Mannoia, Che sia benedetta (dal vivo)

Due o tre cose che ho imparato

Oggi c’è stata l’ultima lezione in aula della scuola di counseling che ho frequentato in questi tre anni: manca ancora un seminario residenziale, a inizio luglio, e poi l’esame finale a settembre, per mettere il suggello a un percorso formativo che mi ha arricchito moltissimo, cambiandomi in profondità.

Mi sembra giusto ringraziare pubblicamente i miei maestri, Sandro e Lory, e l’associazione “Il cerchio dell’esperienza” di Firenze, che promuove la scuola. Assieme a loro, sono grato dal profondo del cuore ai miei fantastici compagni e compagne di viaggio: Daniele, Elena, Francesca, Gabriele, Laura, Leonardo, Michele, Sonia. In tre anni, siamo cresciuti tanto, e ci siamo arricchiti a vicenda, aprendoci sempre più, donandoci il meglio di noi stessi e diventando un gruppo affiatatissimo.

Scrivo questo post perché è bello ringraziare tutte le persone (gli incontri, i cuori, i doni) che ci hanno resi ciò che siamo. E mi viene in mente la mia amica Sandra, che a settembre 2010 mi consigliò caldamente – e senza riserve! – di seguire l’intuizione, e iscrivermi senz’altro alla scuola di counseling, se lo desideravo, perché ne valeva davvero la pena.

Dunque, cos’ho imparato in questi tre anni? Diverse cose, credo, e mi piace condividerle:

Ho imparato l’importanza del “conosci te stesso”: non si finisce mai, e non avrebbe senso credere di poter aiutare altre persone, se prima non avessimo deciso di farci aiutare. Non c’è percorso di crescita che non parta da noi, non c’è aspirante guaritore che non sia stato prima ferito.

Ho imparato a non giudicare, a comprendere che ogni comportamento è figlio di un’intenzione, anche quando non si riesce a scorgerla, a prima vista.

Ho imparato l’importanza dell’ascolto: un ascolto accogliente, attento, sinceramente curioso. Un ascolto che comprende anche il linguaggio del corpo, le sfumature, i silenzi. Un ascolto che non deve diventare frettoloso desiderio di sistemare le cose, all’insegna del motto “fantastico, ho capito tutto, la soluzione al tuo problema è bell’e trovata!”. Piuttosto, deve lasciare tempo e spazio, aiutare ad esprimersi con libertà, far sentire l’altra persona accolta, così com’è.

Ho imparato l’importanza delle emozioni, il ruolo formidabile che giocano in tanti comportamenti umani, e le possibilità di non farci schiacciare da emozioni troppo intense, dolorose, difficili da sostenere o da cambiare.

Ho imparato che ogni persona è meravigliosa, unica e irripetibile. Che siamo tutti un ponte tra Cielo e Terra: scintille d’infinito che l’Universo (il Divino, fate voi) ha spedito sulla Terra nell’istante irripetibile in cui uno spermatozoo ha concluso la propria corsa fecondando un ovulo, e dando origine a un essere umano. Circondato di attese delle generazioni precedenti, impregnato di tanti condizionamenti familiari, culturali… eppure incredibilmente potente, capace di fare meraviglie, se non ha paura della propria coscienza e della propria libertà.

Cielo

Ho imparato che molte domande non trovano una risposta, ma possono essere l’inizio di un cambiamento. Fatto di moltissimi passi, di qualche rovinosa caduta, di lividi e ammaccature, e di promesse di grandezza. Perché ciascuno di noi ha un posto nel mondo, una missione da compiere, una nuova rotta da tracciare. “Diventa ciò che sei, scopri l’infinito che ha mosso la tua scintilla”.

Ho imparato che il caso non esiste. Che siamo tutti collegati, uniti da fili invisibili: a volte ce ne accorgiamo, altre volte siamo distratti, o storditi da troppi stimoli esterni, per riuscire ad accorgercene. Ma tutto ha un senso, e forse bisognerà arrivare alla fine della vita – o guardare il mondo dall’altra riva – per riuscire a coglierlo appieno.

E sono profondamente, immensamente grato alla Vita (all’Universo, al Buon Dio) perché, arrivato alla fine di questo percorso, mi sento più leggero. Affratellato a tantissime altre persone. Essere umano, parte di un’immensa famiglia: siamo in tanti ad arrancare, nei giorni bui. Le cicatrici aumentano con gli anni, a segnare tutti i colpi che la sorte ci ha riservato. Le esperienze ci hanno cambiati, gli incontri hanno segnato bivi tappe e soste nel viaggio sulla terra. E il tempo che passa ha accresciuto e accresce ogni giorno l’amore per la Vita, per il suo grande, affascinante e meraviglioso Mistero.

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per l’indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
Si profila il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

(William Ernest Henley)

Difendersi senza aggredire

Leggo in un bel sito internet, Vino Nuovo, una riflessione di Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della Sera, sulla violenza e l’intolleranza in rete: “Io credo che la violenza dei blog superi quella della realtà”.

E aggiunge: “Che cosa ho imparato bloggando? Che la Rete è piena di animosi e sgarbati, alcuni caratteriali altri ideologici. Decisissimi tutti a influenzare il prossimo e convinti di poterlo fare con quattro battute bene assestate. Ma siccome nulla vi è nella Rete che non sia prima nella realtà, l’emergere di tanta violenza è interessante a conoscersi. In parte è un gioco, favorito dall’uso dei nicknames: tra i miei visitatori solo un paio usano nome e cognome. E chi non firma magari attacca smodatamente chi firma.

Ma non è solo un gioco. Tutta quella violenza sta anche a dire che intorno a noi c’è gente che non vede l’ora di menar la lingua e forse anche le mani. Ci ricorda che la violenza seduce più della mitezza e che il disprezzo dell’altro è un sentimento sempreverde in questo basso mondo.”

Finora, non è capitato che i commenti su questo blog fossero animosi, ma potrebbe accadere un domani. Così come accade molto spesso su diversi blog che mi capita di leggere, o anche sui siti internet dei giornali. In modo particolare, se i post trattano di politica o di religione. O di argomenti “eticamente sensibili”.

Leggevo queste considerazioni, e intanto pensavo a tanti commenti fulminanti che mi è capitato di leggere e pure di scrivere su Twitter, con quel gusto della battuta che non ammette repliche, e che anzi è pensata per strappare l’assenso – se non l’applauso – di chi legge.

Ho pensato allora di mettere un segnalibro, a futura memoria. Mia, in primis. Almeno, per quando mi troverò nelle vesti di commentatore. Perché, studiando counseling, mi convinco sempre più dell’importanza dell’ascolto. Del fatto che ogni persona ha le sue buone ragioni per affermare ciò che dice, o per comportarsi in un certo modo. Ragioni che affondano le radici nella storia di quella persona, nell’educazione che ha ricevuto, nelle esperienze di vita che l’hanno segnata, più o meno profondamente. E che possono scatenare emozioni molto forti – di rabbia, di aggressività – quando quella persona sente che qualcun altro sta toccando un nervo scoperto, un punto sensibile. E le emozioni molto forti possono causare reazioni violente, sia pure a livello di aggressività verbale. Magari, facendosi scudo di un nickname o di un diminutivo.

Ecco, sarebbe bello riuscire davvero ad ascoltarsi, anche quando si dialoga in Rete. “Difendersi senza aggredire”, come è intitolato il libro di Pat Patfoort, una studiosa tra i maggiori della gestione nonviolenta dei conflitti.

Sarebbe bello ricordare un’espressione poetica che mi è cara, del grande Tonino Bello, in una preghiera intitolata “Ala di riserva“:
Siamo angeli con un’ala soltanto: possiamo volare solo rimanendo abbracciati“.

Spazio alle emozioni

Capita, a volte, di fare bilanci provvisori. Arrivati a qualche giro di boa, agli snodi dell’anno o dell’esistenza, ci tornano in mente volti, incontri, pezzetti di vita.
Siamo tutti in cammino, lungo strade apparentemente diverse, ma in fondo così simili. Ciascuno con qualche cruccio, e assieme con tanti motivi per esser contento. Ciascuno con qualcosa in sospeso, in attesa di qualche evento, e assieme proiettato verso progetti e scelte di vita, piccole e grandi.

Qualche persona che conosciamo presto si sposerà o andrà a convivere, altre forse cambieranno lavoro o casa, coltiveranno nuovi interessi, faranno finalmente il viaggio che desiderano da una vita, cercheranno di realizzare antichi sogni. Tutti alla ricerca di piccoli e grandi motivi per i quali valga la pena di vivere, ciascuno con la propria personalissima ricetta per la felicità.

Cosa augurare, allora, alle persone più care e anche a noi? Forse, l’augurio migliore è quello di lasciar spazio alle emozioni.

A volte, per metterci in sintonia con noi stessi, occorre allontanarsi dai “soliti posti”, dalla routine, dalle mille incombenze, dalla cure e dagli affanni. Altre volte, abbiam bisogno di cambiare ritmi e abitudini, di coccolarci un po’, di concederci una dormita fino a mezzogiorno. Ma più di tutto, per la mia personale esperienza, dobbiamo lasciar posare un po’ di pensieri. Di calcoli e di doveri. Di compiti e di ragionamenti. Aprire le finestre del nostro cuore, lasciare entrare il sole, l’aria tersa del primo mattino, che sa ancora di rugiada, i colori dei paesaggi e i suoni della natura (lo spleen, direbbe chi la sa lunga).

Le emozioni, insomma. Quelle vere, che non sappiamo nemmeno descrivere a parole. Quelle che ci scolpiscono indelebilmente nel cuore luoghi, volti, sensazioni. Che ci fanno sentire in contatto con la nostra essenza più profonda. Quelle che per alcuni si trovano nel silenzio, per altri in mezzo a un bosco, o di fronte a un tramonto. Per altri ancora nella preghiera, o in un attimo irripetibile. Ma anche quelle che proviamo standocene all’ombra di un grande albero durante la controra, mentre il vento fa stormire le foglie.

Se per un attimo si lasciano andare i pensieri, gli affanni, le angustie per il futuro, e ci si gode l’armonia e la bellezza, allora – nella brezza leggera – si può sentire un richiamo, una nostalgia, una forza che ci riconciliano con noi stessi, con il senso della nostra vita. Perché, in fondo, siamo tutti bambini che corrono sulla spiaggia verso il mare.

“Il tuo cuore è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita. Lascialo andare senza paura: ti saprà condurre alla felicità.” (Sergio Bambarèn)